Vorrei iniziare questo post con una premessa sulla mia fede politica: è molto semplice, non ne ho una. Ho sempre creduto che la mia fede politica fosse il buonsenso, che in ambito politico, nel mio modo di vedere le cose, è un misto fra responsabilità individuale, un governo non troppo pervasivo, una tassazione che permetta ai servizi di funzionare in maniera efficiente e che consenta ai cittadini di non essere sopraffatti dalle imposte.
Tutto il resto, per quanto mi riguarda, è puro teatro. O forse, sarebbe meglio dire, cinema.
A New York, la vittoria di Mamdani sembra qualcosa di incredibile, di incomprensibile, ma ci sono varie ragioni che spiegano perché non lo sia.
La prima riguarda i contendenti alla carica. Il primo, Curtis Sliwa, è un uomo che ha fatto del suo cappellino rosso e delle ronde nella metro di New York il suo marchio di fabbrica. Per anni ha pattugliato la città in uno stile da giustiziere per combattere l’aumento della criminalità. Nel 2021 aveva fronteggiato Eric Adams (in seguito travolto da scandali di presunta corruzione), perdendo malamente le elezioni (66,99% Adams, 27,76% Sliwa).
Il secondo contendente era Andrew Cuomo, già governatore dello Stato di New York e Attorney General. Una lunga carriera in politica e nell’ambito legale, origini italiane e una sequela di accuse per comportamenti sessuali inappropriati che lo hanno spinto a dimettersi da governatore. In seguito, le indagini si sono concluse senza accuse nei suoi confronti. Nel 2025 aveva già perso le primarie dei Democratici contro Mamdani, ma ha deciso di correre comunque per la carica di sindaco da indipendente.
Ed infine… il vincitore: Zohran Mamdani, il “nuovo che avanza”.
Mamdani ha impostato la sua campagna elettorale cercando un rapporto genuino con le persone, riconoscendo il cinismo degli elettori verso la politica, e ha creato un senso di appartenenza. Le persone, soprattutto in questa fase dominata da isolamento post-Covid, social ultra-pervasivi e intelligenze artificiali ubique, sentono un bisogno disperato di far parte di una comunità e di qualcosa che sia più grande di loro.
Ha basato la sua campagna sul “noi”, invitando tutti a partecipare, spiegando come il vero potere risieda nel popolo e non nel singolo eletto. Insomma, belle parole, che però si scontrano con idee già viste altrove e che hanno già miseramente fallito: aumento delle tasse, espropri, supermercati pubblici, trasporti gratuiti e chi più ne ha più ne metta.
Ma il vero punto di forza di Mamdani è stata la cinematograficità della sua campagna. Ogni video, ogni foto, ogni discorso sembrava uscito da mani di registi consumati, con luci cinematografiche da fare invidia a produzioni importanti.
Il contrasto tra questa cinematograficità e una campagna elettorale condotta tra “il popolo”, nelle strade, ha fatto sentire anche gli elettori che lo incontravano più importanti, più partecipi — nonostante Mamdani apparisse come se fosse in un film. Vi consiglio di dare un’occhiata ai suoi video: sono cinematograficamente perfetti.
Non a caso, Mamdani è figlio di una regista cinematografica. E oggi il mezzo e la forma con cui si comunica sono decisamente più importanti della sostanza, soprattutto in una società in cui un video virale di pochi secondi vale più di argomenti ragionati e ben esposti.
Ma ora arriva il momento di governare. Dal 1° gennaio 2026, Mamdani, 34enne che ha fatto delle sue origini e della sua religione dei punti di forza — sfiorando in alcuni casi il vittimismo — dovrà affrontare problematiche che non si risolvono solo con belle luci e un effetto film vintage. Gli toccherà lavorare sul serio, e su questo pare non abbia particolare esperienza: le sue esperienze lavorative, infatti, sono nel mondo della musica rap e brevemente come consulente per la prevenzione dei pignoramenti.
Che dire… New York è davvero la città delle opportunità.
Leave a comment